APP ECONOMY – Intervento al Convegno IAIC 2018

Oggi sembra normale ma fino a ieri le app, che per mille scopi diversi utilizziamo sul nostro smartphone o tablet, non esistevano. La grande diffusione dell’utilizzo delle app nasce dal fatto che dietro le app non ci sono colpi di genio, ma soluzioni brillanti a problemi semplici e quotidiani.

Mandare un messaggio all’altra parte del mondo, prenotare il ristorante per la cena, acquistare i biglietti di un concerto, controllare la posta elettronica e ascoltare la radio sono solo alcune delle attività che oggi possiamo svolgere tramite un’app.

Servizi un tempo per pochi diventano oggi a portata di molti.

Un aspetto che la dice lunga sul carattere dirompente dell’economia delle applicazioni che, nonostante la giovane età (ancora deve spegnere le prime 10 candeline), ha già raggiunto numeri impressionanti. Le app infatti non hanno infatti solo stravolto le nostre abitudini ma anche creato da zero un nuovo mercato globale. Stiamo parlando dell’economia delle app, capace di macinare affari su affari a ritmi esponenziali e di invadere praticamente tutti i settori.

Dal lancio dell’App Store, nel 2008, gli sviluppatori europei hanno guadagnato più di 20 miliardi di euro vendendo le loro app in tutto il mondo.

Un business che, secondo i calcoli della società di analisi App Annie, vale oggi oltre 1.300 miliardi di dollari tra applicazioni a pagamento, pubblicità e acquisti mobile. Nel mondo si contano oggi 3,4 miliardi di utenti che trascorrono circa 1.600 miliardi di ore l’anno sulle applicazioni e spendono in media circa 379 dollari a testa.

Dando un’occhiata alle previsioni per il futuro, a quanto pare siamo solo alle prime battute: nel 2021 l’economia mondiale delle app arriverà infatti a contare oltre 6.300 miliardi di giro d’affari

Se quella delle app fosse l’economia di uno Stato, in quattro anni supererebbe il Pil di Paesi come Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Giappone.

Tutti questi numeri, ricordano gli esperti, non bastano però a dipingere un quadro completo dell’impatto delle app che va anche oltre la monetizzazione diretta. Si pensi ad esempio all’utilizzo delle applicazioni di home banking da parte dei clienti, che ha permesso alle banche di risparmiare sui costi dei servizi in filiale. O ancora all’uso di applicazioni gratis, che pur senza generare ricavi in modo diretto consentono di raccogliere informazioni utili sulle preferenze degli utenti con cui personalizzare l’offerta di prodotti e servizi. Ma non bisogna farsi prendere dall’euforia: la digitalizzazione offre tanto, ma se non gestita sa anche togliere.

E questo vale anche per l’economia delle app. Per accorgersene basta riprendere i due casi citati, dietro ai quali si nascondono infatti alcuni aspetti spinosi che valgono anche per altri ambiti: l’impatto della digitalizzazione sui business model tradizionali nel caso relativo alle banche, la salvaguardia della privacy nel caso delle applicazioni senza ricavo diretto. La sfida sarà dunque trovare i migliori equilibri, all’interno di un settore a forte trazione evolutiva.

Molti servizi che utilizziamo oggi su smartphone e tablet non saranno più gli stessi: parleranno la lingua dell’intelligenza artificiale, viaggeranno sulle reti 5G, saranno integrate con la realtà aumentata e chissà cos’altro. Resta da ricordare l’effetto sul mercato del lavoro. In meno di un decennio, secondo i calcoli di Progressive Policy, l’app economy ha creato 1 milione e 640mila posti di lavoro in Europa, di cui circa 529mila diretti (in gran parte sviluppatori software), e 1,73 milioni negli Stati Uniti. In Italia 62.000 posti di lavoro legati all’ecosistema dell’App Store.

L’Italia è ad oggi la quinta economia europea per quanto riguarda la app economy.

La speranza è che questa spinta all’occupazione sia agli inizi tanto quanto il boom del settore.

Non dimentichiamoci che l’app economy dà una forte spinta a nuovi lavori tipo Gig Job quindi gig economy e come sappiamo in alcuni casi bisogna tutelare questa nuova categoria di lavoratori.